[di Luca Aterini – greenreport.it].
In questa caldo agosto, a Roma sventolano i fantasmi di Napoli. Il fascino della città partenopea è noto in tutto il mondo, e quando – solo pochi anni fa – la crisi legata alla non-gestione dei rifiuti deflagrò riempiendo le strade di munnezza, allo stesso modo riempì le cronache italiane e non. Le conseguenza di quell’eterna crisi non sono mai davvero finiti. Migrano, al limite, da un punto all’altro dello Stivale. E i danni li paga la collettività.
Dopo una prima condanna inflitta all’Italia nel 2010, l’anno scorso l’Ue ha nuovamente sanzionato (tutta) l’Italia per non aver adottato – riassumevamo su queste stesse pagine – tutte le misure necessarie per assicurare il recupero o lo smaltimento dei rifiuti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente. In particolare, non ha creato une rete adeguata e integrata di impianti di smaltimento dei rifiuti. L’eredità che rimane è assai pesante: circa 6 milioni di tonnellate di ecoballe sul ammassate sul territorio campano, tempo stimato per lo smaltimento oltre i dieci anni (la rimozione è stata avviata esattamente due mesi fa, non è chiaro verso quale destinazione); una multa pari a 20 milioni di euro, più altri 120mila euro per ciascun giorno di ritardo nel conformarsi alla sentenza Ue; una strutturale mancanza di impianti per la gestione integrata dei rifiuti secondo il principio di prossimità, stimata l’anno scorso secondo la Commissione Ue in discariche (autorizzate) per 1 829 000 tonnellate, termovalorizzatori per 1 190 000 tonnellate e impianti per il trattamento di 382 500 tonnellate di rifiuti organici. E questo senza evidentemente contare tutti gli impianti per il riciclo necessari a valle della raccolta differenziata degli imballaggi.
A Napoli, dove oggi la spazzatura non ingombra più regolarmente piazze e strade, cos’è successo? Oltre al trasporto della munnezza sulle chiatte verso l’Olanda e le Baleari, l’emergenza – ha recentemente spiegato sul Corriere Fiorentino Alfredo De Girolamo, presidente Cispel Confservizi Toscana – è rientrata con l’entrata «in funzione del termovalorizzatore di Acerra, il più grande d’Italia (1000 tonnellate giorno), dove finiscono i rifiuti di Napoli, oltre che in altri impianti all’estero». Anche questo tipo di impianti è infatti funzionale alla gestione del ciclo integrato dei rifiuti, lo scempio è semmai quello di conferirgli priorità tanto da incentivarne l’utilizzo, mentre al riciclo continua a non arrivare un solo euro.
Roma, altro glorioso simbolo italiano, è oggi destinata alla stessa sorte che subì Napoli? Molto dipende dalla volontà politica. Come ha sottolineato anche il direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani in un’intervista ad Avvenire, «non esiste ciclo virtuoso dei rifiuti senza impianti. La politica deve dire che gli impianti si realizzano sul proprio territorio. Altrimenti si fa la differenziata ma il riciclo avviene a centinaia di chilometri di distanza». Quando va bene. Secondo i dati ricordati da Ciafani, il 50% dei rifiuti urbani raccolti a Roma «continua ad andare in discarica in Emilia Romagna. Mentre la parte combustibile va negli inceneritori, soprattutto Colleferro e San Vittore. Poi c’è l’umido che va a compostaggio: 160 autoarticolati ogni giorno pieni di organico differenziato vanno negli impianti di Padova e Pordenone. Questa è la follia quotidiana».
Una follia che si ritrova ogni giorno in molte parti d’Italia, e che oggi ha trovato il suo nuovo bubbone in Roma. Non si risolverà senza gli impianti necessari per gestire i rifiuti prodotti dai cittadini, per non parlare dei rifiuti speciali, che in Italia sono 4 volte tanto gli urbani, e dei quali si sa pochissimo.
Il modello Roma, dopo la chiusura della maxi discarica da 240 ettari di Malagrotta, ha visto chiudersi il buco nero che fino ad allora aveva ingoiato le 4.500 tonnellate di rifiuti urbani prodotti nella Capitale, ed ha finito per accartocciarsi su sé stesso. Senza impianti alternativi si potrà forse superare l’emergenza, ma solo tornando a nascondere i rifiuti sotto qualche tappeto. Possibilmente all’estero.