L’agricoltura rigenerativa è una tecnica al tempo stesso moderna ed antica, che sfrutta il terreno arricchendolo.
Non tutti sappiamo nel dettaglio cos’è l’agricoltura rigenerativa. Tutti quanti conosciamo però al contrario fin troppo bene l’agricoltura intensiva, ovvero quel modello di coltivazione agricola adottato a livello internazionale a partire dalla metà del secolo scorso che è proiettato senza mezzi termini a massimizzare le rese di ogni coltura. L’agricoltura intensiva non guarda in faccia a nessuno: irrigazioni eccessive, massicce dosi di fertilizzanti, deliberato utilizzo di pesticidi: questo sfruttamento meccanizzato nel suolo non ha potuto che portare all’impoverimento del terreno, ormai demineralizzato e talvolta del tutto sterile. Non deve però per forza essere così: l’agricoltura rigenerativa, infatti, riunisce tutte quelle tecniche in grado di beneficiare dei migliori frutti della terra senza però impoverirla: ma quali sono, nello specifico, i vantaggi dell’agricoltura rigenerativa?
Le tecniche dell’agricoltura rigenerativa
Parlare di agricoltura rigenerativa significa parlare allo stesso tempo di permacultura, di agroforestazione, di agricoltura organica e di pasture cropping. Si passa quindi dalla valorizzazione dei resti della potatura, del letame e di altri materiali di scarto organici, di compostaggio aerobico e di fermentazione anaerobica per la creazione di biofertilizzanti. Tutte queste pratiche agricole non solo riescono a nutrire le varie colture, ma arricchiscono a livello minerale e biologico gli stessi terreni. Ma non è tutto qui: l’agricoltura rigenerativa può inoltre aiutare a combattere nel concreto il cambiamento climatico.
Un modello agricolo per combattere il cambiamento climatico
L’agricoltura rigenerativa non si limita a combattere il cambiamento climatico eliminando i pesticidi ed altre sostanze chimiche. No, fa di più. Come ha spiegato Linley Dixon, imprenditrice agricola statunitense e studiosa del suolo presso il Cornucopia Institute, le piante crescono meglio in terreni con un alto livello di materia organica, e maggiore è la fertilità di un terreno, maggiore sarà anche la quantità di anidride carbonica che questo potrà assorbire. Negli ultimi anni gli scienziati di tutto il mondo si sono domandati come sottrarre l’anidride carbonica in eccesso dalla nostra atmosfera (così da rallentare e quindi fermare il cambiamento climatico): a questo proposito sono stati sperimentati e realizzati diversi tipi di filtri. Ma uno dei più potenti, a livello naturale, è proprio il terreno altamente ‘organico’ garantito dall’agricoltura rigenerativa, ovvero un modello di coltivazione allo stesso tempo antico e moderno.
Un’etichetta specifica per l’agricoltura rigenerativa
Il movimento che ruota intorno all’agricoltura rigenerativa è sempre più diffuso a livello internazionale: in Italia per esempio il principale promotore è l’ONG Deafal. «Ci sono talmente tanti drammi intorno al cambiamento climatico che ogni soluzione concreta come questa non può che essere circondata da un grande entusiasmo» ha spiegato Linley Dixon. Deafal, Green America, Rodale Institute, Holistic Management International, Carbon Underground, Cornucopia Institute: queste sono solamente alcune delle associazioni a livello globale che stanno spingendo affinché l’agricoltura rigenerativa possa diventare mainstream. Il loro obiettivo a breve termine è quello di avere un’etichetta specifica per i prodotti agricoli prodotti con questo particolare modello agricolo. Non si tratta infatti di prodotti solamente ‘biologici‘, ma di frutta e verdura prodotte da agricoltura rigenerativa.
Il periodo difficile per il cibo biologico
I sostenitori a livello internazionale dell’agricoltura rigenerativa puntano dunque ad una specifica certificazione per i propri prodotti. Ma non sarà facile, soprattutto per il momento difficile che sta passando l’etichetta ‘bio’ a livello globale. Certo, i consumatori che preferiscono prodotti biologici sono in continua crescita, così come i produttori, ma i tentativi di regolarizzare nel concreto il crescente brand ‘bio’ stanno andando a vuoto uno dietro l’altro. E di questo se ne stanno accorgendo anche i consumatori: per fare un esempio, stando ad uno studio Mintel, più di un terzo dei consumatori si è dichiarato scettico circa la migliore qualità del cibo bio rispetto a quello convenzionale. «La certificazione biologica è in evidente difficoltà» ha spiegato Ann Adams, direttore di Holistic Management International «e ci sono molte persone che sono convinte che questa certificazione si stata annacquata». Va poi sottolineato un paradosso del cibo bio negli Stati Uniti: laddove le vendite di cibo bio si affermano al 4% del totale, meno dell’1% delle imprese agricole statunitensi sono certificate biologiche. Insomma, gran parte del bio che si trova negli Usa è di importazione, così da rendere in buona parte risibili i vantaggi dal punto di vista ambientale.
Le mele che fermano il cambiamento climatico
Ma perché i consumatori dovrebbero essere portati ad acquistare i prodotti dell’agricoltura rigenerativa? Il motivo principale per il quale i consumatori comprano cibo bio è per la propria salute e per quelle dei propri figli. «La salute del terreno e i diritti degli agricoltori, invece, potrebbero essere troppo astratti» ha spiegato Adams. La pensa invece diversamente Larry Kopald, presidente e co-fondatore di Carbon Underground: lui è infatti convinto che poter scrivere su una cassa di mele in vendita che «queste mele hanno aiutato a fermare il cambiamento climatico» potrebbe davvero attirare il consenso e il favore di molti consumatori. Nel frattempo, però, tutti quanti si interrogano sulla ‘natura’ della certificazione dell’agricoltura rigenerativa: sarà in competizione con quella del cibo biologico o andrà invece a migliorarla? C’è per esempio chi pensa che l’agricoltura bio vera e propria sia (o debba essere) già di per sé anche rigenerativa; altri, invece, pensano che aggiungere un’altra etichetta potrebbe creare confusione, mentre i più entusiasti sono convinti che una certificazione per l’agricoltura rigenerativa potrebbe davvero portare ad una rivoluzione nelle preferenze dei consumatori.
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