Ridurre gli sprechi e trasformare gli scarti in risorse. È la logica alla base del consumo responsabile che impegna i cittadini lungo tutta la filiera: dalla scelta consapevole di ciò che acquistano fino allo smaltimento. Un approccio che è ancor più importante per quanto riguarda il cibo. Ogni anno, stima la Fondazione Barilla Center of Food and Nutrition, un terzo della produzione alimentare mondiale finisce nella spazzatura. E l’Italia non è esclusa: da noi si butta via il 35% dei prodotti freschi, il 19% del pane e il 16% di frutta e verdura.
Ritorno alla terra
Negli ultimi anni, però, qualcosa è cambiato soprattutto grazie alla raccolta dell’umido. Oggi il recupero della frazione organica è arrivato al 42%, con 5,2 milioni di tonnellate che non sono andate sprecate. Seguono poi la carta (3 milioni di tonnellate) e il vetro (1,6 milioni di tonnellate). Una delle città più virtuose è Milano dove, tra il 2012 e il 2013, è stata completata l’estensione della raccolta della frazione organica a tutte le utenze domestiche del territorio cittadino. Così, da giugno 2013 oltre 1,3 milioni di abitanti separa regolarmente lo scarto di cucina. Ogni anno solo nel capoluogo lombardo vengono raccolte 120 mila tonnellate di rifiuti organici, 90-92 chili a testa. Attraverso una buona selezione e un idoneo trattamento i rifiuti organici si trasformano poi in compost, un fertilizzante naturale ricco di nutrienti per la terra.
Ciclo sostenibile
«Abbiamo superato il milione di tonnellate di compost prodotte in un anno», sottolinea Massimo Centemero, direttore del Consorzio italiano compostatori (Cic), «e questo grazie a 240 impianti di compostaggio e 43 di digestione anaerobica presenti nel nostro Paese». Un risultato che è stato elaborato dal Cic sui dati Ispra 2014 (relativi all’anno 2013), i più aggiornati a disposizione. Della produzione totale annua, 266.300 tonnellate possono essere utilizzate nel florovivaismo per sostituire le torbe di importazione, e 762.200 tonnellate in agricoltura come sostituto di concimi minerali, organici e letami. «Usare il compost», prosegue Centemero, «migliora la qualità del suolo, consentendo di conservarne la fertilità nel lungo periodo, così come il suo stato strutturale, la capacità di assorbire e rilasciare acqua e di trattenere gli elementi nutritivi in forma facilmente assimilabile da parte della pianta, promuovendo tutte le attività biologiche del suolo».
Scenari futuri
Optare per il compost significa anche eliminare (o ridurre) l’impiego di altri prodotti con un notevole risparmio dal punto di vista economico. «Sostituire torbe e concimi minerali con questo prodotto apporta un risparmio stimato di circa 25-30 milioni di euro l’anno», sottolinea il direttore del Cic. Il vantaggio non è solo economico, ma anche ambientale: «Raccogliere l’umido e trasformarlo in compost permette di risparmiare ogni anno 1,1 milioni di tonnellate di CO2 equivalente rispetto all’invio dei rifiuti in discarica», aggiunge Centemero. «Nell’ipotesi che l’Europa ci richiedesse di dimezzare le emissioni entro il 2030, per l’Italia significherebbe una riduzione di 6 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti all’anno per sedici anni. Il contributo della raccolta e del trattamento dell’organico è quindi molto significativo (18%) in termini emissioni evitate».
Sfide da vincere
Ma perché le cose migliorino davvero ci sono ancora diverse sfide da vincere: «Innanzitutto estendere a tutta la popolazione italiana la raccolta dell’umido, puntando soprattutto sulle grandi città e sul Meridione, per aumentare di 2-3 milioni di tonnellate la produzione annuale di rifiuti organici. Questo significa anche aumentare il numero degli impianti di compostaggio e digestione aerobica di 60-70 unità. Tutti fattori che inciderebbero positivamente sulla creazione di nuovi posti di lavoro», conclude Centemero. «Un altro grande punto a cui tendere sarà quello della produzione di biometano, un carburante rinnovabile che promette di rivoluzionare il sistema della mobilità».
[corriere.it]