I 10 killer dell’oceano: i contenitori per il cibo i rifiuti più comuni.

14 Giugno 2021

Due studi analizzano 12 milioni di dati da 36 punti di osservazione in tutto il pianeta: quattro categorie di prodotti rappresentano quasi la metà dell’immondizia generata dall’uomo e presente in acqua.

Da simbolo di modernità a soluzione obbligata durante la pandemia, il cibo da asporto è sempre più di moda. Ma nasconde un lato oscuro. Dopo la consumazione, l’imballaggio viene spesso abbandonato nell’ambiente. Dove finisce? In mare. Secondo uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature Sustainability, finanziato dalla Fondazione Bbva e dal ministero della Scienza spagnolo, la maggior parte dei rifiuti che infestano gli oceani a livello globale è costituita proprio da sacchetti di plastica monouso, bottiglie di plastica, contenitori o posate per takeaway e involucri vari per alimenti.

La ricerca, la più completa finora realizzata e ripresa dal quotidiano britannico The Guardian, si basa sulla combinazione e sull’analisi di 12 milioni di dati provenienti da 36 punti di osservazione o archivi dislocati in tutto il pianeta. Si è scoperto, così, che queste quattro categorie di prodotti rappresentano quasi la metà dell’immondizia generata dall’uomo e presente in acqua; mentre dieci tipi di oggetti in plastica (inclusi coperchi, tappi e attrezzi da pesca) coprono ben tre quarti del totale dei rifiuti, anche a causa dell’uso comune che ne viene fatto e dei tempi estremamente lunghi che impiegano a degradarsi. Nel lavoro si sono tenuti in considerazione gli scarti più grandi di tre centimetri e che si potessero identificare con precisione; sono stati esclusi frammenti e microplastiche. Si sono poi distinti i contenitori per l’asporto da quelli per prodotti per l’igiene personale e per la casa. La più alta concentrazione di rifiuti è stata rilevata sulle coste e sui vicini fondali, poiché l’azione congiunta di vento e onde li spinge e li accumula lì. Il materiale come corde e reti da pesca è stato rintracciato soprattutto in mare aperto, dove rappresenta circa la metà dei rifiuti complessivi. Aver individuato dove nasce il problema aiuterà a muoversi e ad agire in modo mirato per risolverlo. Perciò gli scienziati chiedono che gli articoli “usa e getta” per cui esistono alternative vegano vietati e che le industrie si dimostrino più responsabili sia nella produzione sia nella promozione di sistemi efficaci e sicuri di raccolta, smaltimento o restituzione dei vuoti. La messa al bando decretata dall’Europa per cannucce o palette di plastica e cotton fioc è un passo avanti, ma non è sufficiente: le prime costituiscono il 2,3% della spazzatura marina, i bastoncini di cotone e quelli per “lecca lecca” soltanto lo 0,16%.

Bisogna intervenire sugli oggetti più diffusi. “Non ci ha sorpreso il fatto che l’80% dei rifiuti sia di plastica, bensì l’elevata percentuale d’imballaggi per asporto – spiega Carmen Morales-Caselles dell’Università di Cadice, che ha guidato la ricerca – si va dagli incarti di McDonald’s alle bottiglie per l’acqua, fino alle lattine per bibite. Con le informazioni ora disponibili si può fare prevenzione, invece di limitarsi a ripulire gli oceani”. Morales e colleghi, infatti, hanno consultato anche un precedente studio pubblicato sulla stessa rivista e riguardante i rifiuti che sfociano nei mari attraverso 42 fiumi europei. Ne è emerso che Turchia, Italia e Regno Unito sono i tre principali colpevoli dell’inquinamento. E che è necessario fermare l’immondizia alla fonte.


[fonte: repubblica.it]