Continuano ad aumentare i comuni che annunciano o emettono ordinanze plastic free incentrate su restrinzioni nell’uso per articoli monouso in plastica che, seppur richiamano la direttiva europea per una riduzione delle Plastiche Monouso SUP , ne promuovono le versioni in bioplastiche compostabili.
In realtà tale direttiva quando vieta alcuni manufatti in plastica ne vieta anche le versioni in bioplastica compostabile e non impone invece restrizioni nella vendita di articoli come bicchieri e bottiglie, come invece si spingono a fare talune ordinanze. Per i primi la direttiva prevede infatti solamente una riduzione nel consumo e per le bottiglie pone invece obiettivi di intercettazione ambiziosi (77% al 2025 e 90% al 2029).
Nel rimandare alla lettura del mio precedente post sul tema delle iniziative plastic-free da parte di enti locali e grande distribuzione, vorrei entrare qui nel merito delle prime reazioni che sono arrivate dagli impianti di compostaggio che cominciano ad essere messi alla prova da quantità crescenti di manufatti vari che si riscontrano nelle raccolte dell’organico.
Da un censimento delle poco meno di 120 ordinanze comunali emesse ad oggi emerge che oltre la metà sono state emesse in Sicilia e Puglia con rispettivamente 33 e 30 ordinanze. Al terzo posto troviamo la Toscana con 14 ordinanze seguita da Lazio e Liguria con rispettivamente 7 e 6. Toscana a parte, si tratta di regioni che non sono dotate di impianti di compostaggio oppure che ne sono piuttosto carenti.
E’ presumibile che almeno in una parte di questi comuni le ordinanze e la comunicazione di supporto abbia dato un contributo importante alla sostituzione dei manufatti in plastica con opzioni in plastica compostabile. Questo potrebbe essere il caso della regione Toscana dove un gruppo della grande distribuzione come Coop Tirreno ha sostituito in tutti i suoi punti vendita lo stovigliame in plastica con opzioni compostabili lo scorso giugno. Una scelta in linea peraltro con il piano annunciato da Federdistribuzione lo scorso 30 maggio anche se l’universo cooperativo della Grande Distribuzione non vi afferisce. Nel suo comunicato stampa Federdistribuzione aveva annunciato l’intenzione dei suoi associati di sostituire lo stovigliame in plastica con opzioni biodegradabili e compostabili entro il 30 giugno del 2020. Ad oggi una completa sostituzione a livello nazionale è stata compiuta dal gruppo Lidl lo scorso luglio. Gruppo che invece in altri paesi come Olanda, Belgio, Germania e Spagna ha potuto fare “di meglio”, ambientalmente parlando, con l’introduzione di un sacchetto riutilizzabile per il settore ortofrutta.
Tornando alla citata regione Toscana è proprio lì che si sono accesi i riflettori lo scorso agosto sui possibili impatti dovuti all’introduzione dello stovigliame e altri imballaggi marchiati compostabili negli impianti di compostaggio. Tutto è partito da un’intervista radiofonica di Lady Radio in cui l’AD di Alia Servizi Ambientali spa, sollecitata dal giornalista, ha spiegato come il loro impianto non fosse operativamente strutturato per accettare le bioplastiche che venivano pertanto rimosse nella fase di preselezione, e che la migliore soluzione fosse conferirle con il rifiuto indifferenziato, indipendentemente da una loro certificazione UNI EN 13432.
L’Ad ha espresso in occasione della stessa intervista la necessità di aprire un tavolo di confronto per affrontare con tutti i portatori di interesse le criticità poste da un aumento di questi manufatti compostabili (sacchetti esclusi) agli impianti di compostaggio e ha auspicato un maggiore ricorso ai sistemi riutilizzabili. Altri gestori Toscani di impianti intervistati da media locali che riportavano di non aver dato l’indicazione di Alia alle utenze, non sono però entrati nel merito della gestione di questi manufatti anche se non hanno nascosto che crescenti quantità di imballaggi e stovigliame imporrebbe dei cambiamenti alle attuali gestioni.
Questa intervista ha scatenato un putiferio tra i politici e esponenti di movimenti locali che hanno bollato come inammissibile il fatto che Alia non adeguasse i propri impianti “ impedendo di fatto una gestione sostenibile dei rifiuti a vantaggio delle multiutility interessate ad un aumento della quota di indifferenziato per promuovere inceneritori e gassificatori”, per sintetizzare.
Ora, in mancanza di uno studio che restituisca lo stato dell’arte della tecnologia degli impianti di compostaggio nel nostro paese e di quali siano gli impianti in grado di gestire questi manufatti, a quali condizioni e con quali adattamenti operativi dei processi esistenti, è difficile prendere una posizione rispetto a una questione così tecnica. Al momento si contrappongono due visioni: quella di chi sostiene che qualunque imballaggio o tipologia di stovigliame certificato come biodegradabile e compostabile secondo la norma di riferimento EN 13432 debba essere gestita dagli impianti, e quella di chi ritiene che un’introduzione delle bioplastiche compostabili debba essere regolamentata per prevenire i rischi associati ad un uso pervasivo di questi manufatti nella sfera domestica, tra i quali un aumento della confusione rispetto ai conferimenti da parte di cittadini e addetti alle raccolte che porterebbe a possibili contaminazioni sia della filiera dell’organico che delle plastiche tradizionali.
QUELLO CHE IL CIC DICE E NON DICE
In riferimento a questi fatti toscani il CIC (Consorzio Italiano Compostatori) ha emesso lo scorso 4 settembre un comunicato stampa che dice e non dice, con il risultato che le “controparti” interessate dalla vicenda ma su posizioni opposte ci leggono una conferma delle proprie posizioni. Cominciamo con quello che, a mio avviso, il CIC non dice.
A differenza di altre occasioni il CIC nel suo comunicato rimane in generale nel vago rispetto alle criticità emerse nella vicenda toscana (che non menziona) e lo denota anche il fatto che non ribadisce, come in altre occasioni, che quando l’industria o gli enti locali prendono decisioni sul packaging che impatteranno sugli impianti di compostaggio, dovrebbero prima verificare se i manufatti che si vogliono introdurre sono compatibili con l’impiantistica locale e/o nazionale che dovrebbe accoglierli.
Su questo punto vorrei fare presente a tutti i politici locali e nazionali che non hanno avuto questa accortezza che stanno di fatto ripetendo lo stesso errore che è stato fatto con la plastica: introdurre cioè al consumo un materiale che aveva dei pro e dei contro senza che ci fosse un sistema in grado di accoglierlo, di valorizzarne gli aspetti positivi e prevenendone quelli negativi. Ora, se abbiamo applaudito ai principi dell’economia circolare e alla necessità di una progettazione cradle to cradle non possiamo pretendere che sia il sistema a doversi adattare alle caratteristiche di un manufatto senza partire dalla creazione del sistema, se si ritiene che ne valga la pena sotto tutti i profili.
Il CIC non entra nel merito del sistema impiantistico chiarendo se i problemi riscontrati in Toscana riguardino (o meno) solo quella parte degli impianti dotati di sistemi di preselezione che rimuovono qualunque manufatto e/o che adottano tempi abbreviati di processo. Il comunicato non affronta un tema, a mio avviso importante, che è quello dello scenario futuro dell’impiantistica del settore rispetto ad un aumento dei manufatti compostabili. Al momento oltre la metà dell’organico raccolto viene gestito da impianti a digestione anaerobica che oggi sono poco più di una cinquantina ma in fase di rapido incremento con altri 20 impianti autorizzati al 2021.
Nel comunicato si fa invece giustamente accenno ad alcuni aspetti critici che possono mettere in crisi l’intera filiera del recupero dei rifiuti organi, che oggi garantisce la gestione di quasi 7.000.000 di tonnellate di rifiuti (di cui riporto integralmente un estratto) tra i quali :
1) La confusione che si genererà nei cittadini-consumatori artefici della raccolta differenziata, derivante dalla compresenza sul mercato di manufatti compostabili e quelli realizzati in materiali plastici convenzionali, porterà come conseguenza il rischio di un forte trascinamento di questi ultimi nella raccolta differenziata dei rifiuti organici, con un conseguente pesante decadimento della qualità della stessa.
2) L’aumento dei quantitativi relativi di manufatti compostabili delle più diverse fogge e dimensioni negli scarti di cucina, fino ad oggi presenti in quantitativi quasi trascurabili, avrà come inevitabile conseguenza un significativo cambiamento delle caratteristiche merceologiche e fisiche dei rifiuti organici che gli impianti devono trattare.
Infine il CIC chiede che “vengano previste adeguate risorse per effettuare gli eventuali investimenti che gli impianti di compostaggio dovranno affrontare per far fronte al cambiamento delle caratteristiche merceologiche e fisiche dei rifiuti organici prodotto dall’aumentata presenza dei nuovi manufatti compostabili”.
Siccome il caso di Alia non è desitnato a rimanere un caso isolato, essendo arrivate ai media e in occasione di convegni di settore altre istanze da parte di gestori di impianti di compostaggio che ricalcano le criticità espresse dal comunicato del CIC, è evidente che serve un piano per affrontare questo fenomeno destinato a crescere.
Perché non si mette dunque a disposizione dei decisori politici e industriali uno studio compiuto da un ente terzo che metta in luce, come si è fatto in altri paesi, quali sono i pro e i contro di un’introduzione massiccia di questi materiali rispetto allo stato dell’arte del sistema nazionale di gestione dei rifiuti, che chiarisca in cosa consisterebbero questi adattamenti tecnici degli impianti di compostaggio. E che indaghi inoltre su quali potrebbero essere le conseguenze sulla qualità del compost e sull’entità dei costi addizionali di cui la filiera dell’organico dovrebbe farsi carico: sia per adeguare gli impianti che per la gestione ordinaria di questi materiali.
Non dimentichiamo che i costi della gestione dell’indifferenziato e dell’organico sono al 100% a carico dei comuni e dei contribuenti in quanto non godono dei corrispettivi che arrivano dai consorzi Conai per la raccolta degli imballaggi.
Mi chiedo anche come ci si regolerà quando i produttori/utilizzatori di imballaggi e articoli usa e getta dovranno pagare l’80% dei costi di gestione dei loro manufatti ai comuni, in recepimento dell’ art.8 e 8 bis della direttiva SUP sulla responsabilità estesa del produttore, una volta avvenuto un suo recepimento nel nostro ordinamento nazionale.
Intanto quello che è sicuro è che stiamo aspettando in tanti che arrivino dal CIC delle linee guida che definiscano quali sono i manufatti che possano essere davvero conferiti nell’organico senza problemi e a livello nazionale. Non c’è un decisore industriale di packaging con cui abbia parlato che non chieda trasparenza e chiarezza in merito, anche solamente per rispondere alle richieste dai clienti che non sono sempre informate e/o ambientalmente sensate.
CONSIDERAZIONI FINALI
Il problema reale sul quale non spetta al Cic esprimersi va ben oltre al tema seppur importante dell’impiantistica è invece quello della sostenibilità ambientale dei manufatti usa e getta che non si può affrontare con un puro cambio di materiali che non andrebbe a ridurre il consumo di risorse e gli effetti sul riscaldamento climatico. Secondo l’Unep I processi di estrazione e lavorazione dei beni ambientali, compresi quelli utilizzati per la produzione di cibo, generano circa la metà delle emissioni di gas serra globali e sono responsabili del 90% della perdita di biodiversità. (Fonte Global Resouce Outlook 2019).
Nonostante si legga spesso nelle ordinanze plastic free che i manufatti compostabili favorirebbero una riduzione dei rifiuti e il passaggio all’economia circolare questa affermazione non trova conferme nella realtà dei fatti. Anche sul piano scientifico studi a livello europeo non hanno rilevato una maggiore sostenibilità ambientale delle bioplastiche rispetto alle opzioni in plastica fossile. Inoltre le misure espresse dalle stesse ordinanze non prevedono , salvo rare eccezioni, leve economiche incentivanti e disincentivanti per esercizi commerciali e organizzazioni che fanno uso di stovigliame monouso. Così facendo la gestione dei rifiuti salta a piè pari le opzioni ambientalmente più convenienti della gerarchia europea di gestione dei rifiuti come la prevenzione e la riduzione dei rifiuti, anche attraverso il riuso.
Allo stesso tempo continuiamo a subire a livello nazionale la mancanza di misure legislative che promuovano strategie di gestione dei rifiuti che favoriscano quei modelli di economia circolare che si stanno invece affermando all’estero. Mi riferisco a iniziative imprenditoriali basate sul riuso dei contenitori nella commercializzazione di bevande e cibo da asporto. Tali servizi sono adottati all’interno di eventi ma anche a lungo termine come nel caso di servizi di gestione di stovigliame vario ad uso di singoli locali o circuiti di locali che condividono un network che permette ai clinti di prendere o restituire un contenitore cauzionato in qualsiasi locale.
Che piaccia o meno ai tempi del riscaldamento climatico lo stovigliame usa e getta (di qualunque materiale) rappresenta quella quota di consumo monouso di cui va fatto un uso limitato e residuale per situazioni emergenziali in cui non sia possibile ricorrere a sistemi riutilizzabili. In queste casistiche non rientrano certamente gli utilizzi nella sfera domestica e in ambiti paragonabili.
Nel caso dei manufatti compostabili, a causa delle criticità evidenziate, è necessario che possano essere attuate raccolte selettive oppure che ne venga fatto un uso closed loop come in occasione di eventi in cui possa esserci un controllo di tutto il ciclo di utilizzo: dall’acquisto dei manufatti certificati sino alla loro collocazione idonea a fine uso.
Questo, proprio per evitare quegli scenari da incubo temuti dagli stessi impianti e dal CIC, come si legge tra le righe del comunicato stampa, che possono conseguire da un utilizzo pervasivo e incontrollato delle bioplastiche.
[fonte: polimerica.it]